martedì 31 maggio 2011

Serial killer di cani a San Marino, stop all'esposizione internazionale Manifestazione sospesa dopo la morte di altri 2 animali, che si aggiungono a quelli uccisi negli ultimi mesi

SAN MARINO - È stata sospesa, a causa del'avvelenamento di tre cani, di cui due sono morti, la 29esima Esposizione internazionale canina organizzata a San Marino dal Kennell Club e in programma nel weekend nella piccola città stato. Lo hanno deciso gli organizzatori, anche per le forti proteste dei partecipanti internazionali. Da più di un mese a San Marino vengono denunciati casi di avvelenamenti di animali da compagnia, ad opera di quello che oggi viene chiamato il serial killer dei bocconi avvelenati. Dei tre cani avvelenati, tra l'altra notte e le prime ore di oggi, uno è sotto osservazione veterinaria. Per gli altri due, di proprietà di un milanese e di un tedesco, non c'è stato nulla da fare.
LA RICOSTRUZIONE - Secondo una prima ricostruzione fatta dalla gendarmeria e dalla guardia forestale, che lavora in queste ore per bonificare gran parte della zona boschiva intorno alla sede della manifestazione, i due cani sarebbero stati vittime dell' avvelenamento mentre erano al guinzaglio durante una breve passeggiata per i bisogni, prima di sfilare per la competizione. In pochi minuti hanno manifestato i primi sintomi, e sono morti in poco meno di mezz'ora. Un particolare che fa pensare ad una tossina velenosa estremamente potente; le autorità hanno deciso di procedere alla bonifica per scongiurare ogni pericolo per la salute umana. Su uno dei due cani è stata disposta l'autopsia proprio per scoprire il veleno usato e risalire a chi possa aver lasciato le esche.
CACCIA AL VELENO - Forte tensione per l'accaduto tra gli espositori: tra questi un gruppo di Bologna che ha manifestato l'intenzione di sporgere denuncia, una volta rientrato in sede, alle autorità italiane, mentre i proprietari dei due cani avvelenati hanno già provveduto a farlo al comando della gendarmeria. Nei giorni scorsi i militari avevano infatti trovato bocconi - fatti di carne e lardo - con un forte veleno. Molte le carcasse di cane ritrovate nelle ultime settimane, ma quello che è accaduto alla mostra canina, con animali addestrati a non mangiare cibo trovato per strada, fa supporre ad un avvelenamento per inalazione più che da ingestione. I cani possono essersi avvelenati anche solo annusando la sostanza killer. 

(Fonte: Ansa)

venerdì 20 maggio 2011

Commento di Roberto Marchesini sui macachi maltrattati a Giakarta e lo studio Usa che sostiene la loro capacità di valutazione.

IL COMMENTO DI ROBERTO MARCHESINI...

Non vi è dubbio che mai come in questi tempi si debba registrare un profondo scollamento tra ricerca scientifica e prescrizione etica. Così può accadere che, con una sincronia da corsa centometrista, esca da una parte uno studio condotto dalla State University di New York, dove si stabilisce che i macachi sono in grado di sapere di non sapere, ossia di approssimarsi alla sapienza socratica, e dall'altra la notizia di come vengano correntemente torturati in Indonesia gli stessi macachi per costringerli in banali esibizioni antropomorfiche che servono solo a divertire e ad alimentare la stupidità umana. Niente da eccepire se seguiamo la prescrizione corrente che vuole che scienza ed etica viaggino per binari separati. Conoscere l'intelligenza e quindi la sensibilità di una specie dovrebbe porre degli interrogativi sul comportamento umano, se non altro perché esiste un rapporto diretto tra caratteristiche del soggetto e diritti implicati che vanno rispettati.
 


LA PRIMA NOTIZIA...Macachi torturati per intrattenimento, lo svela un'indagine della JAAN
Un’indagine sotto copertura dell’associazione JAAN (Jakarta Animal Aid Network) rivela le orribili crudeltà alle quali i giovani macachi sono sottoposti per essere addestrati. L'indagine, insieme ad una petizione online, ha il fine di spingere le autorità indonesiane ad agire e porre fine a tanta malvagità.
Le catene che vengono fissate intorno al collo dei macachi servono agli addestratori per costringerli a stare in piedi o per infliggere loro delle punizioni

A rivelare il duro addestramento che consiste nel torturare i poveri macachi affinché essi possano intrattenere e divertire il pubblico con delle gag, è la JAAN (Jakarta Animal Aid Nerwork), una Ong (organizzazione non governativa) fondata nel 2008 per proteggere la fauna indonesiana e tutelare il benessere degli animali domestici di Giacarta.

Sotto copertura, l’associazione ha portato avanti un’indagine per esporre le crudeltà che le scimmie devono sopportare durante l'addestramento per far guadagnare pochi soldi a uomini senza scrupoli. Due specie di macaco in Indonesia, il Macaco mangia-granchi (Macaca fascicularis) e il Macaco coda di porco (Macaca nemestrina), dovrebbero essere protette perché in via di estinzione; paradossalmente il commercio di macachi invece è attivissimo.

Tutti gli esemplari che si trovano in vendita nei comuni mercati, nei negozi di animali o di fronte ai centri commerciali, sono stati catturati in natura. La tortura per questi animali, infatti, comincia proprio dal momento in cui vengono brutalmente prelevati dal loro habitat naturale, la foresta di Sumatra, dai bracconieri. I metodi di cattura sono diversi, tutti ignobili! Il più comune è quello di sparare alle femmine adulte per impossessarsi del cucciolo, strappandoglielo dalle braccia.

Durante il viaggio i macachi neonati, impauriti e stressati, in mancanza delle mamme si aggrappano alle sbarre delle gabbie

I macachi neonati sono i più richiesti perché hanno ovviamente una vita più lunga e perché essendo piccoli e carini attraggono facilmente il pubblico. Durante il viaggio vengono ammassati in piccole gabbie; sono impauriti e stressati e in mancanza della mamme si aggrappano alle sbarre delle gabbie. I bracconieri sono pagati dai committenti due dollari a macaco; una volta arrivati nei mercati vengono commerciati da venditori ambulanti per cinque dollari a esemplare.

Gli acquirenti sono privati che li comprano per tenerli davanti alle proprie abitazioni o per farli esibire in spettacoli itineranti. In entrambi i casi sono legati e sin da piccoli i proprietari gli infilano una catena al collo che non gli toglieranno più. Il macaco crescerà e la catena diventerà una seconda pelle, causandogli un atroce dolore e provocandogli malattie infettive (tetano).

Questi animali hanno denti lunghi, aguzzi per cui, per evitare che possano ferire le persone, i venditori tagliano loro i canini. La tecnica utilizzata non è innocua, i macachi avvertono un dolore terribile e spesso contraggono delle infezioni che possono essere fatali.

A questo punto inizia l'addestramento che non è meno disumano. Le scimmie vengono appese a testa in giù in modo da imparare a camminare in posizione eretta. Le catene che vengono fissate intorno al collo degli animali servono agli addestratori per costringerli a stare in piedi o per infliggere loro delle punizioni quando non obbediscono ai comandi. Vengono alimentati (con del cibo scadente e non consono alla specie) solamente quando eseguono perfettamente gli ordini.

Dopo la dura 'lezione' vengono riposti in casse di legno e non possono interagire tra loro; questo isolamento li turba profondamente. I macachi, come tutti i primati, sono creature altamente gregarie, tenute in cattività deperiscono, hanno bisogno di interagire con i propri simili.

Una volta terminato l'addestramento, snaturati e privati della propria dignità, sono pronti per esibirsi in scenette comiche; sono costretti a camminare in posizione eretta, indossare costumi, maschere, cappelli, occhiali, camminare sulle mani, sedersi su giocattoli o saltare su delle piccole moto in movimento. Tutto questo in nome del divertimento di qualche turista che a fine spettacolo gli lancia qualche spicciolo.

Una femmina di macaco è stata fotografata mentre mendicava, indossando una testa di bambola con il suo cucciolo aggrappato al corpo

Altri macachi invece vengono utilizzati per chiedere l'elemosina. In una delle tante strade di Giacarta un esemplare femmina è stata fotografata mentre mendicava, indossando una testa di bambola con il suo cucciolo aggrappato al corpo. Anche i passanti o gli spettatori, spesso, non hanno rispetto per questi animali; alcune volte gli gettano degli oggetti contro o li colpiscono con dei bastoni.

Alla fine della carriera - ossia quando diventano adulti, inutili e non più tanto carini e teneri agli occhi del pubblico - vengono abbandonati dai loro proprietari che se ne disfano senza porsi assolutamente nessuno scrupolo. Privi di vaccinazioni o di altre cure veterinarie spesso diventano un vero pericolo; sia perché nel frattempo hanno sviluppato una certa aggressività per le torture subite sia perché sono portatori di diverse malattie che sono trasmissibili anche all'uomo, quali la rabbia, il vaiolo delle scimmie, virus erpetici e tubercolosi. Inoltre, essendo abituati a ricevere il cibo dall’uomo, non sono in grado di nutrirsi da soli.

Femke den Haas di JAAN dopo l'indagine ha dichiarato: "È penoso vedere come queste scimmie, sottratte dal loro habitat naturale, siano torturate e condannate ad una vita d'inferno". Con questa indagine e con una petizione online possiamo almeno provare a sensibilizzare le autorità indonesiane per fermare queste stupide rappresentazioni che hanno come protagonisti ancora una volta gli animali non umani.

Un appello ai turisti: se un giorno doveste andare a Giacarta e vi imbatteste in qualche 'umano' che sfrutta un piccolo macaco, spero che voi esprimiate sfacciatamente tutto il vostro disappunto boicottando il suo insensato spettacolo.



LA SECONDA NOTIZIA...  
Studio Usa: i macachi sono in grado di esprimere un dubbio. Piuttosto che dare una risposta errata, passano

 

MILANO – Meglio passare piuttosto che sbagliare: i macachi sottoposti a un esperimento cognitivo da parte dei ricercatori statunitensi hanno evidenziato la capacità molto umana e molto evoluta di coltivare il dubbio e, soprattutto, di saperlo riconoscere. Lo studio americano ha dimostrato che le scimmie sono in grado di dubitare di sé e di provare incertezza sul da farsi di fronte a una scelta che contempla, oltre a due risposte opposte, anche una terza risposta che si potrebbe tradurre in un «non so».

LO STUDIO - Come riporta la Bbc, la ricerca della State University di New York, in collaborazione con la Georgia State University, ha preso in esame il comportamento di alcuni macachi di fronte a un semplice videogioco nel corso del quale gli animali dovevano giudicare la densità di un quadrato di pixel premendo il tasto D (che stava per dense) se i punti erano numerosi e ravvicinati e S (che stava per sparse) se erano rarefatti. In caso di risposta esatta le scimmie ricevevano un premio commestibile, mentre se sbagliavano il gioco entrava in pausa per qualche secondo.

IL PUNTO INTERROGATIVO - Ma a disposizione dei macachi c'era anche una terza opzione: un punto interrogativo premuto al momento giusto consentiva loro di passare alla domanda successiva, senza alcun premio, ma anche senza pausa, dimostrando che anche le scimmie «sanno di non sapere». Meglio andare oltre, devono aver pensato i primati nella loro mente, dimostrando di preferire uno scenario senza infamia e senza lode allo sbaglio, ma soprattutto dimostrando di saper ammettere la propria indecisione. Interessante anche notare che alcune specie di scimmie cappuccine, se sottoposte allo stesso test dei macachi, hanno mostrato invece di ignorare puntualmente l’opzione rappresentata dal punto interrogativo. La ricerca è stata condotta dal professor John David Smith, della State University of New York di Buffalo e da Michael Beran, della Georgia State University, i quali hanno presentato l’esperimento dei macachi dubbiosi nel corso di una sessione organizzata dalla European Science Foundation. Smith e Beran hanno poi commentato i risultati del loro lavoro sottolineando come il dubbio sia una parte fondamentale del pensiero cognitivo: le scimmie sanno di non sapere e, come avviene negli esseri umani, questa consapevolezza rivela una profonda evoluzione del pensiero.

COGITO ERGO SUM – «Penso, quindi sono», sosteneva Cartesio, sottolineando che l’uomo dubita e dunque pensa. La verità scaturisce proprio da quel dubbio metodico di cui parlava il filosofo francese e ritrovare anche negli animali questa abilità tutta umana di mettere in dubbio una verità rappresenta una rivoluzione. Ma non occorre scomodare Cartesio per intuire che la scelta di quel punto interrogativo da parte dei macachi può significare moltissimo. Anche se ancora non sappiamo quanto.

mercoledì 18 maggio 2011

DICHIARAZIONE DI MARGHERITA D'AMICO, GIORNALISTA, RILASCIATA A SIUA SUL COLLARE ELETTRICO

Sull'eventuale utilizzo del collare elettrico per cani apparentemente suggerito dall'ENCI, che ha poi diramato un comunicato prendendo distanze dall'iniziativa e professandosi a esclusivo favore del benessere animale, si è sollevata indignazione. Non solo per l'idea, tanto stupida quanto violenta, ma anche, forse, in relazione all'ambiente stesso che sembrava averla partorita.
Da noi parlare di allevamento e ragionare su quanto delicato, difficile, controverso sia l'equilibrio fra l'amore per una specie, una razza, un individuo e il commercio della sua vita, è ancora infrequente. Né ci è facile smettere di concepire il mondo dei cani - e dei gatti - diviso in due. Il popolo affamato e derelitto composto dalle migliaia di randagi di cui è necessario prender cura, e una sorta di immaginari quartieri alti: gli esemplari selezionati, nati bene e destinati alle attenzioni.
Ci basta uno sguardo appena più attento, tuttavia, per capire che non funziona proprio così. E se oggi la realtà ci propone canili che traboccano anche di animali di razza, la colpa non è solo imputabile ai proprietari indegni, ma pure alle mille ombre che percorrono le attività allevatoriali e le loro stesse ragioni.
La questione è complessa, le realtà varie e senz'altro distinte fra loro. Ma il solo fatto che si possa legalmente produrre un indiscriminato numero di soggetti come se si trattasse di borsette o calzini, è sufficiente a dimostrare con quanta superficialità il tema venga affrontato da un punto di vista normativo e istituzionale. Per compiacere gli interessi di un mercato, fatto però di esseri viventi, non si considerano l'evidenza di un territorio sovrappopolato e la conseguente urgenza di contenere le nascite. 
  La prima e fondamentale risposta al randagismo, una piaga che in Italia ha raggiunto proporzioni molto drammatiche, è senz'altro nella sterilizzazione, da praticare sia nei canili e nei rifugi che nel privato. E' quindi altrettanto urgente che gli allevamenti - sia quelli ufficiali che gli irregolari e incontrollabili fai-da-te - cessino di immettere quantità illimitate di animali in una situazione così drammaticamente satura. 
Dovremmo anche interrogarci sui cuccioli meno belli, nati con piccole o gravi malformazioni, rispediti al mittente per questo o quel disturbo. Eccezioni a parte, cosa accade di loro? In una fabbrica, le borsette difettose si buttano.
  A ben vedere dunque l'odioso collare elettrico è da osteggiare in sé, ma va anche colto come espressione di un sistema e quasi, potremmo dire, punta dell'iceberg.


ROMANIA, CANI MASSACRATI NEL CANILE PUBBLICO DI BOTOSANI

Duecentrotrenta "trovatelli" sono stati massacrati, la notte tra martedì 10 e mercoledì 11 maggio, nel canile pubblico di Botosani una città nel Nord Est della Romania, non molto distante dal confine con la Moldavia. A renderlo noto è l'associazione animalista rumena Ador, attraverso l'italiana Save the Dogs che da anni è anni attiva nel Paese balcanico per tutelare i randagi. Secondo qunati si apprende, i 230 "senza famiglia" sarebbero stati uccisi perché affetti dal cimurro, una malattia incurabile a detto del Sindaco di Botosani. Soltanto 24 ore prima dell'eccidio i volontari rumeni avevano visitato la struttura, scattato alcune foto agli animali e chiesto l'affido di 18 di loro, da fare adottare. Al loro ritorno presso il canile pubblico, tutto ciò che i volontari hanno trovato sono stati alcuni sacchi riempiti con i corpi dei "trovatelli". Ancora poco chiare le modalità con cui i cani sarebbero stati uccisi. Ador sospetta, tuttavia, che abbiano sofferto: non solo nei box sono state trovate tracce di sangue ma diversi quattrozampe mostravano anche chiari segni di violenza. Al contrario di quanto accaduto con il triste precedente di Costanza (un altro massacro di randagi), la vicenda di Botosani ha trovato larga eco sui media e scosso gran parte dell'opinione pubblica rumena. E' il caso di ricordare che la Romania è a tutti gli effetti un Paese membro dell'Unione Europea; ciononostante, in materia di protezione degli animali, sembra ispirarsi più a retrive pratiche di stampo medievale che non a quel superiore livello di civiltà di cui dovrebbe farsi portatrice la Comunità Europea.

A questo indirizzo è possibile firmare la petizione online per protestare contro l'atroce atto di barbarie compiuto la notte martedì 10 e mercoledì 11 maggio. 

lunedì 9 maggio 2011

GLI ANIMALI DI FUKUSHIMA

Gli animali di Fukushima sono rimasti all'interno della zona contaminata di 30 km. I loro padroni sono fuggiti. Tutti gli animali sono radioattivi, nessuno può più uscire dall'area. Tremila mucche, trentamila maiali, 600mila polli e un numero imprecisato di animali domestici. I cani sopravvissuti si avvicinano alle rare macchine autorizzate in cerca di cibo. Intorno a loro c'è un silenzio irreale e abitazioni abbandonate. Quasi tutto il pollame è morto. Le mucche e i vitelli, dove non vi sono fattorie con alimentatori automatici, sono morti di fame e di sete. Secondo le autorità giapponesi il 70% dei maiali e il 60% del bestiame è morto. I proprietari degli allevamenti hanno chiesto di portar fuori dal terreno radioattivo gli animali, o di entrare per praticare una forma di eutanasia. Le richieste sono state negate per la paura di contaminazione. Alcuni hanno ignorato il divieto e sono entrati nella zona proibita per portare in salvo i loro cani, condannando però anche sé stessi. L’acqua del mare a 30 chilometri dalla centrale nucleare ha una concentrazione di Iodio-131 di 88,5 becquerels per litro, il valore più alto registrato finora. La radioattività è 2,2 volte il limite massimo ammesso per le acque di scarico delle centrali nucleari. La fauna ittica presente nelle acque del Pacifico per decine di chilometri di fronte a Fukushima è contaminata. La radioattività si diffonderà in modo esponenziale quando le piccole prede saranno mangiate da altri pesci. Dovremo andare al supermercato con il contatore geiger. Ci abituereremo anche a questo.

DA PROGETTO VIVERE VEGAN

DICHIARAZIONE DI LICIA COLO' SUL COLLARE ELETTRICO RILASCIATO ALLA SIUA



Il collare elettrico per i cani è uno strumento assolutamente barbaro. Mi stupisce che dopo tanti anni di lotte per i diritti degli animali o quantomeno per incrementare il rispetto nei loro confronti, si ritorni a parlare di questo stumento di tortura. I cani, come ogni essere vivente, hanno un loro linguaggio ed è giusto che possano utilizzarlo per esprimersi. In anni di studi, si è giunti a comprendere molto del loro comportamento e grazie a questo si è anche capito che si possono abituare, o educare i cani  grazie alla nostra e alla loro intelligenza, con metodi assolutamente dolci. Solo chi non ammette o non è consapevole delle capacità del proprio intelletto può pensare di risolvere scomode problematiche attraverso la violenza che in questo caso è rappresentata dal collare elettrico. Auspico di cuore che la cosa continui ad essere bandita per legge, ma soprattutto per etica di comportamento.

martedì 3 maggio 2011

UMANI TRA LUPO E CANE - di ROBERTO MARCHESINI

La domesticazione costituisce uno dei fondamenti della storia dell’umanità, sebbene ancor oggi venga troppo spesso rappresentata come un evento mitico realizzato in modo autarchico, secondo l’iconografia autocelebrativa di un uomo che si è fatto da sé lottando contro una natura ostile. In realtà questa lettura è scorretta, soprattutto se consideriamo che, sulla base delle ultime ricerche paleontologiche e di biologia molecolare, si è dovuto
retrodatare la domesticazione del cane oltre il fatidico limite dei cinquantamila
anni fa.
Pratiche di maternaggio
Nelle brume del Paleolitico l’uomo, ancora raccoglitore nomade, era già accompagnato
dal cane nelle sue migrazioni, e questo ben quarantamila anni prima della rivoluzione del Neolitico: un dato che ci fa comprendere come si debba parlare, più che di cattività, di
un processo di avvicinamento reciproco che ha trasformato la nostra specie, oltre ad aver estratto il cane dal complesso genotipo del lupo. Ominidi e lupi condividevano lo stesso ambiente, avevano la stessa collocazione ecologica, si assomigliavano nell’organizzazione
sociale: tutti questi requisiti (che hanno inevitabilmente facilitato gli incontri e le sovrapposizioni – e indubbiamente anche situazioni di scontro) lasciano pensare che prima della domesticazione ci sia stata una lunga convivenza.
Una frequentazione che, se da una parte ha avvicinato il lupo alla consuetudine umana, creando le premesse per la domesticazione, come ha riscontrato Raymond Coppinger, dall’altra ha modificato in profondità gli usi e i costumi dei nostri progenitori.
È questo forse l’aspetto più interessante messo in luce dalla zooantropologia, disciplina che studia i prestiti delle altre specie nella costruzione della dimensione antropologica. Non è infatti possibile pensare ai predicati che caratterizzano l’identità umana – dalla musica
alla danza, dalla moda alla tecnologia – come qualità autofondate. Già Democrito, del resto, sottolineò che l’uomo aveva imparato gran parte delle sue arti osservando gli animali e imitandone le prestazioni. Non a caso tutte le mitologie parlano di uomini adottati
da lupe, un fatto da cui possiamo ricavare che anche la licantropia – ovvero il meticciamento con il lupo – abbia svolto un ruolo non secondario in questa apertura dell’orizzonte umano. Di certo l’adozione di un cucciolo di lupo, un evento verificatosi più volte e in aree geografiche differenti, come già intuì Konrad Lorenz, ha significato un salto di qualità. Con l’ingresso fattivo del lupo nel gruppo umano i bambini imparano stili comportamentali non umani dando vita a un’ibridazione molto più profonda e articolata. Resta da capire perché sia avvenuta questa adozione. Ma studiando le prassi di allevamento ancora in voga presso alcune culture, per esempio quella Papua o Nunga, osserviamo pratiche come il maternaggio, l’allattamento al seno di cuccioli, o lo svezzamento attraverso il passaggio di cibo da bocca a bocca, che ci portano a leggere l’adozione come evento legato alle cure parentali.
Nel suo famoso saggio In the company of animals, James Serpell fa notare come in tutte le popolazioni umane siano presenti animali cosiddetti da compagnia e come il tratto che caratterizza questi rapporti sia proprio la tendenza ad accudire e a prendersi cura dei pets, al punto che l’etologo statunitense arriva a ipotizzare una sorta di parassitismo parentela. Gli animali domestici avrebbero pertanto utilizzato la stessa strategia del cuculo? Il paragone non sembra reggere perché mentre il cuculo ha affinato una sua strategia riproduttiva, specifica sotto il profilo dell’adattamento, nel caso degli animali adottati l’uomo pare aver tentato di domesticare qualunque tipo di animale.
Così, se è vero che non tutti gli animali sono stati domesticati, il limite va ascritto – come ha rilevato il fisiologo Jared Diamond – a caratteri non direttamente legati con l’adozione, come la docilità o la riproduzione controllata.
Un cucciolo bisognoso di cure
Già Konrad Lorenz aveva richiamato l’attenzione verso una serie di caratteri pedomorfici (tipici cioè delle forme giovanili) comuni in tutti i mammiferi, come la sfericità della testa, gli occhi grandi e lucidi, il muso schiacciato, le zampette corte, che formano una sorta di
linguaggio universale dei cuccioli. Queste forme giovanili, suscitando comportamenti parentali, compongono una sorta di esperanto «et-epimeletico», termine etologico che in pratica significa «capace di muovere un comportamento di cura». Ma tale evocazione sarà più forte se dall’altra parte c’è qualcuno fortemente sensibile a tale richiamo, ossia
con una forte motivazione epimeletica (dal greco epimeléomai , «prendersi cura»). L’etologia insomma sembra dare ragione a Martin Heidegger quando afferma
che «l’uomo è figlio della cura», sottolineando appunto la sensibilità della specie umana verso il richiamo et-epimeletico. (E il fatto che le forme giovanili abbiano un forte appeal per gli esseri umani trova dimostrazioni continue nella vita quotidiana, dal fascino delle automobili dai contorni rotondeggianti, come la Cinquecento e il Maggiolone, al disegno pedomorfico di Micky Mouse e Donald Duck). Questa tendenza epimeletica dell’essere umano andrebbe ascritta al forte bisogno di cure parentali del cucciolo di Homo sapiens il quale, a differenza dei cugini scimpanzé, bonobo, gorilla e orango, alla nascita presenta una immaturità di sviluppo – ossa craniche non saldate, volume encefalico di un quinto rispetto all’adulto – che lo rende inetto e quindi bisognoso di cure parentali.
Il neonato umano non solo non è in grado di aggrapparsi come il cucciolo delle altre specie antropomorfe ma non è capace nemmeno di tenere su la testa. Secondo il dettato darwiniano la conclusione è presto detta: senza una controlaterale vocazione epimeletica
la nostra specie si sarebbe estinta. Ma come un gatto, a causa del suo acceso istinto predatorio, trova irresistibili oggetti in teoria per lui poco interessanti come le palline o le freccette del mouse, così la forte motivazione epimeletica ci rende vulnerabili anche verso
le forme giovanili di altre specie. Insomma, di fronte a un cucciolo siamo presi dalla tenerezza, ossia dalla voglia di adottarlo, accudirlo e dargli da mangiare, al punto che anche i bambini, davanti a un animale, per prima cosa gli porgono del cibo. È dunque verosimile che proprio la tenerezza, e non un calcolo di utilizzo, abbia rappresentato il grande interprete della domesticazione, anche perché sarebbe molto difficile spiegare fenomeni come il maternaggio e lo svezzamento buccale al di fuori di un comportamento parentale.
La globalizzazione del cavallo
Si tratta in definitiva di ribaltare il luogo comune che vede il maschio umano cacciatore indomito protagonista della cattura e dell’asservimento degli animali.
In realtà furono le donne a dar avvio alla domesticazione, aprendo la strada a un processo di ibridazione con il non umano che ci ha trasformato alla radice, fino ad arrivare al cyborg postmoderno raffigurato da Donna Haraway come condizione esistenziale della contemporaneità. La domesticazione sarebbe stata perciò un effetto collaterale del nostro virtuosismo nell’ambito della cura, una tendenza che di fatto ci ha aperto alla contaminazione del non umano.
Se Lévi-Strauss ebbe a sostenere che l’animale è prima di tutto «buono da pensare», altri studiosi come Diamond e Marvin Harris sono arrivati a riscrivere la storia dell’umanità attraverso le diverse partnerships con gli animali domestici – dove, per esempio, la domesticazione del bovino ha reso possibile lo sviluppo della meccanica e quella del
cavallo è stata la prima forma di globalizzazione. La cultura rurale, pur nelle diverse trasformazioni che l’hanno caratterizzata, vedeva una profonda promiscuità tra l’uomo e le altre specie, al punto che molti fisiologi hanno riscontrato l’importanza della cosiddetta «immunità incrociata», vera e propria vaccinazione ante litteram che ha permesso all’uomo di mettersi al riparo da particolari malattie infettive.
Elargizioni e maltrattamenti
Con la rivoluzione urbana del Novecento l’uomo ha divorziato dagli animali domestici, molti dei quali sono finiti negli allevamenti intensivi, lager che hanno tolto loro la luce del sole, l’aria aperta, la possibilità di movimento e hanno costellato la loro esistenza di terribili vessazioni. Ad accompagnarci nelle metropoli convulse sono rimasti solo il cane e il gatto, privilegiati solo in apparenza, perché di fatto relegati a una vita che ha ben poco delle soddisfazioni richieste dal loro etogramma: sebbene un radicato luogo comune veda nell’antropomorfizzazione dei pets una grossa elargizione per loro e si usino termini
come viziare o coccolare, non è esagerato affermare che in molti casi si tratta di veri e propri maltrattamenti.
Del resto secondo la tradizione disneyana, che nel bene e nel male ha formato tutte le generazioni a partire dagli anni ’50, gli animali sono solo maschere sotto cui agisce una personalità umana.
Questo non ci permette di capire che in fatto di percezione del mondo, di modalità comunicativa, di interesse e di rituali comportamentali ogni specie ha i suoi tratti distintivi e merita di essere rispettata come tale. E tuttavia è vero che gli animali domestici rappresentano l’ultimo contatto con una realtà non umana che abbiamo allontanato ma di cui abbiamo bisogno proprio per costruire le qualità più autentiche della nostra dimensione umana.






































ARTICOLO TRATTO DA "IL MANIFESTO - 24 APRILE 2011"